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Terzo, ottimo album (coprodotto dal bravo e compianto Ernesto De Pascale) per la band fiorentina [...]. Maturità espressiva e compositiva che si rivela in nove brani originali con reminiscenze psichedeliche e progressive, tra i quali spiccano la lunga title-track, Cenere, Luci di ruggine e Angeli di carta. Affidandosi per la seconda volta alla competente produzione di Ernesto De Pascale, i fiorentini Underfloor firmano la loro terza prova discografica, costantemente all'insegna di una raffinata intelligenza musicale: un programma breve, incisivo, essenziale, per un gruppo che ha trovato un perfetto equilibrio tra la sua anima cantautorale (espressa dalla luminosa scrittura del bassista e vocalist Guido Melis) e quella, vibrante e romantica, di indie-rock band dalle siginificative sfumature post, che potrebbe dividere il palco con i Low o i Sea and cake senza affatto sfigurare. Intelllettuali raffinati del rock, figli di un tempo in cui la psichedelia era una cosa seria, lunari, multiformi, multicolori, gli Underfloor sono usciti nei negozi di dischi il 18 aprile con un album talmente ben scritto e curato negli arrangiamenti e nell’esecuzione da far scomparire il (bel) ricordo del precedente Vertigine [...] Non c’è più dubbio, gli Underfloor sono una certezza ormai: brillanti, emozionanti, efficaci nel live quanto in studio, e soprattutto sanno far “suonare” le canzoni come si deve. Nell’aria s’inserisce a pieno e legittimo titolo nel novero della canzone italiana colta, quella che tale lo è davvero, non per iperbole giornalistica, bensì per merito proprio, Come se fossi miele rende vana la ricerca di paragoni con eventuali omologhi, essendo episodio d’ampio respiro, internazionale nel suono come nell’elaborazione. I bei testi riflettono l’eleganza ed il gusto spiccati del gruppo, che nessun confronto deve ormai più temere, nemmeno il più probante. La lunga title track che apre il disco è il loro congedo col passato, quello ingombrante, scomodo che viene scacciato a colpi di Rickenbacker effettata e chitarre elettriche che si rincorrono nella parte centrale [...] Il minimalismo di Cenere potrebbe mietere vittime ed estimatori tra coloro che hanno gridato al miracolo quando hanno ascoltato i Baustelle [...] Il disco finisce: passato, presente e futuro ci sono passati davanti agli occhi sotto forma di note e immagini. Detto di un'eccellente resa sonora e delle belle opere fotografiche di Gianfranco Chiavacci a impreziosire l'artwork, si passa dalle malinconie con tanto di quartetto d'archi di "Nell'aria" al tiro post-wave di "Come se fossi miele" o al sax tenore che irrompe in "Solo un altro sogno", a conferma della cura certosina prestata agli arrangiamenti, a ogni singolo passaggio strumentale. Da Firenze, eleganti e raffinati come sempre, gli Underfloor si presentano con il loro terzo disco, prodotto da Ernesto De Pascale. [...] Tra arie crimsoniane, rock d'autore italiano e raffinato e artigianale canterburysmo gli Underfloor assemblano un quadro d'insieme decisamente bello, ancorchè, a mio parere, un po' troppo estetizzante. Questo non è un album da sentire, è un album da ascoltare. Bisogna ritagliarsi del tempo, trovare uno spazio il più possibile isolato e tranquillo per lasciarsi trasportare. Allora si coglieranno ancora meglio la ricchezza ritmica, i fraseggi chitarristici e i contenuti profondi di Solitari Blu. Un merito che gli si riconoscerà subito sarà allora la mancanza di ogni vacua velleità d’automatismo artistico, ma il meticoloso lavoro compiuto su ogni singolo passaggio non solo in sede di composizione ma anche (e soprattutto) in sede di lavoro in studio. Il quadro si chiarificherà e si arricchirà in conseguenza, si riusciranno a cogliere quei momenti pregevoli che a un primo ascolto superficiale potrebbero passare inosservati. Spiccano su tutti Luci Di Ruggine, Nell’Aria, la conclusiva Angeli Di Carta e la stessa title-track.
Se il complesso strumentale classico (chitarra, basso, batteria) è elegante senza farlo pesare mai, il materiale d'intarsio ne aumenta il valore non di poco, sono sopraffine le inserzioni di tastiera, archi e sax (quest'ultimo davvero splendido in Solo Un Altro Sogno), nello stereo è un piccolo gioiello quello che gira ripetutamente ormai da giorni. [...] "Solitari Blu" è una compagnia salutare, il suono vintage dovuto all'esclusivo uso di strumentistica valvolare (ah che toccasana per l'orecchio) e a una produzione perfetta dei Plastic Sun Studio di Firenze ad opera di Ernesto De Pascale rende ancor più vive e naturali le melodie che avvolgono la vena poetica dei testi. Con Solitari Blu gli Underfloor compiono un bel salto in avanti, un rock maturo con una chiave neopsichedelica e un piglio progressive sia per la lunghezza della titletrack e di Angeli di carta sia per la voglia di suonare liberamente che avvolge tutto il progetto. Aprire con un brano di sette minuti può dire molto sul coraggio e sulla direzione stilistica presa dall'ensemble. Nove brani languidi ed energici, ermetici e ruvidi, viscerali e ancestrali – complice anche la grafica sobriamente policromatica del disco. Piccoli pianeti che insieme compongono l'universo sonoro di questa intrigante formazione fiorentina. Microstorie, suggestioni tanto romantiche quanto elettriche, che entrano in contatto con la sensibilità dell'ascoltatore accarezzandolo con eleganza e delicatezza.
Ascoltando Solitari Blu quello che colpisce è la puntuale sincronia tra una musicalità tipicamente anglosassone, che molto risente delle strutture dilatate e ricercate del progressive, e le liriche (coraggiosamente) in italiano, essenziali ma poetiche, evocative e allo stesso tempo criptiche, in bilico tra malinconia, riscatto e quotidianità, come una serie di immagini di vita vissuta. È rock, non c'è dubbio, un rock genuino ed affilato, capace di incantarci per i sette minuti della title track “rincorrendo solitari blu”, capace di riassumersi in piccoli gioielli come Cenere e Luci di ruggine, o di affascinarci con un tocco di archi, come accade in Nell'Aria. Ma il culmine della raffinatezza poetica del disco è probabilmente in Solo un altro sogno, in cui scopriamo che tutto quello che rimane a legarci alla realtà è – appunto – soltanto un sogno. Gli Underfloor attaccano subito con la title-track, un brano che stupisce anche l'ascoltatore meno attento, sia per il testo: "Nella notte del viaggio/d'improvviso ritroverai/la tua rabbia sepolta per strada/Libera" sia per la voce di Melis, ma soprattutto per la coda strumentale finale di oltre 3 minuti elettrica e lirica al contempo, tesa, psichedelica.
Con il disco Solitari blu la band fiorentina, già vincitrice del riconoscimento per la miglior cover di Piero Ciampi al Premio Ciampi 2008, confeziona un album in linea con le precedenti produzioni, sposando con più intensità le sonorità di un indierock italiano colto, simile a quello dei Baustelle. Sonorità che, insieme all’essenzialità dei testi e a una goccia di psichedelia, pongono l’album in una realtà sospesa tra intrecci strumentali e visioni minimaliste. “Solo Un Altro Sogno”, forse il brano più riuscito, dimostra quanto gli arrangiamenti siano stati studiati, mentre “Cenere” ricorda un pò i pezzi di alcune band italiane in voga, come i Baustelle. “Angeli Di Carta” ha un suo perchè, e la title track che apre l'album è decisamente accattivante. Dai sette minuti abbondanti dell'iniziale title-track emerge immediatamente che gli Underfloor hanno le idee chiare in fatto di rock. Ottimo gusto per la melodia, chitarre acustiche ed elettriche si alternano mantenendo come filo conduttore linee sognanti e psichedeliche, tributando i giusti onori ai classici anni settanta ed al rock progressivo italiano. [...] La band fiorentina giunge al terzo disco con una maturità evidente, sia nell strutture che nelle linee armoniche e vocali, con importanti ed ispirate dosi di melodia che impregnano tutti nove brani. Senza dubbio promossi e consigliati. Un gruppo interessante, talentuoso, che sembra aver trovato la sua strada, sia a livello di testi che di suoni e atmosfere evocate. L’aspetto che maggiormente mi ha colpito ascoltando brani come quello di apertura (“Angeli di carta”: davvero pregevole) o “Nell’aria” è l’arrangiamento elegante, sobrio che conferisce un tasso di classe all’insieme. Non un rock impetuoso o febbrile, quanto piuttosto un suono dilatato, sfuggente, come nella stessa title track o nella successiva “Solo un altro sogno”. I testi sono immaginifici più che narrativi (caratteristica di molto rock inglese); così come le opere di Chiavacci, sono bagliori di luce, costruzioni geometriche luminose, campi visivi ad ampio spettro, arcobaleni. E contribuiscono a creare, con i suoni, atmosfere eteree, sospese, sognanti che si contrastano – a volte nello stesso brano come nella title track – con altre più corpose, rock ed energiche. Quello degli Underfloor è un post-rock romantico-aggressivo che si richiama certo alla musica psichedelica, che ha indubbiamente come punti di riferimento Radiohead, Verdena, Baustelle, Björk, ma che colpisce, alla fine, per la sua originalità e personalità.
La tecnica strumentale vive di intrecci tra gli strumenti veramente sopraffini, uso quasi Progressive delle ritmiche che cuce intorno all’ascoltatore più attento una fitta trama di cambi di tempo.[...] Maturità artistica che si respira a pieni polmoni e che ci soddisfa, tra flautati passaggi effettati e citazioni musicalmente colte. Echi lontani diventano giochi di luci che ci sorpassano velocemente, sublime figura che andiamo ad ammirare quando, improvvisamente, si imprime nella nostra mente. |
qui di seguito è riportata la rassegna stampa di "Vertigine" (presentato il 26 ottobre 2008)
Alessandro Staiti - Chitarre - Febbraio 2009 |
Diego Capelli - Rockerilla - Gennaio 2009 |
Salvatore Esposito - Jam - Dicembre 2008
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Profondamente oscuri senza essere dark, morbidamente romantici senza stucchevoli cadute di stile, delicatamente cantautorali senza pretese didascaliche, dannatamente psichedelici senza artificiose acidità di fondo o prevedibili abrasioni sonore. Gli Underfloor, dopo una prolungata pausa di riflessione, sfuggono ai risucchi gravitazionali dell'oblio pubblicando il pregevole "Vertigine", secondo album della carriera dopo l'omonimo disco d'esordio. Un
lavoro (registrato in analogico) che certifica, al contempo, acquisita
maturità compositiva, ponderata citazione delle fonti e intelligenza
collaborativa: dalla vecchia volpe Ernesto De Pascale, alla produzione
artistica, e da fior fiore di musicisti - come Francesco Magnelli, Giulia
Nuti, Anton & Petru Horvath - il giovane trio fiorentino ascolta
e impara, disegnando "vertiginose" traiettorie liriche e melodiche,
alienandosi completamente in un mutevole nirvana sonoro, nell'accecante
blu cobalto di digressioni psichedeliche a 6 corde che avvicinano il
The Edge di "Achtung Baby" alle intuizioni di Marlene Kuntz,
Afterhours e Benvegnù (quest'ultimo potrebbe tranquillamente
far sua la bellissima "Dall'esterno"). Antonio Belmonte - Rockit - Dicembre 2008
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Le
7 tracce di questo nuovo lavoro ci mostrano una bella maturità
espressiva e compositiva, con un sound a metà strada tra Afterhours,
Marlene Kuntz e Radiohead, facendo emergere una robustezza lirica davvero
sopra la media, cosi come è nel suo complesso questo disco. Malinconia,
desolazione, rimpianto e rassegnazione sono un po le parole chiave
dei testi della band che spesso cozzano invece con un approccio acido
e psichedelico come nella bellissima Non Più Parole,
dove emerge tutto lamore per le soluzioni stilistiche di Tom Yorke,
senza dimenticare larrangiamento orchestrale dellaltro picco
del lotto con Ancora Un Inverno, pezzo dotato anche di un
grande appeal radiofonico [...] Fabio Cusano - Artists&Bands - dicembre 2008 |
Fin da subito il primo brano, "La Mia Necessità", rende l'idea dello spessore di questo disco. Chitarre sapientemente arrangiate scolpiscono coi loro arpeggi le sfaccettature della struttura del pezzo, mentre basso (Guido Melis) e batteria (Lorenzo Desiati) si incastrano in un ingranaggio perfetto. Il tutto arricchito dai tasti del piano di un ospite di passaggio, Fabrizio Orrigo. Su questo tappeto si distende la voce di Matteo Urro, già alle chitarre, che scivola lentamente con una melodia dilatata, in contrasto col ritmo incalzante della traccia. Questo modo di cantare di Matteo rimane in tutto il disco, le sue parole sembrano posarsi con delicatezza sul ruvido delle chitarre, le sue sillabe, pacate, pronunciate con infinita lentezza. Ogni tanto spunta qualche strumento non convenzionale, come un clavicembalo, assieme ad un quartetto d'archi che sostiene i brani con eleganza e giusto equilibrio. Le armonie sono ben costruite, rimangono in testa, stupiscono, come "Novembre", dal ritornello accattivante e comunque non convenzionale [...] Il rock melodico degli Underfloor convince, nasconde in sé quel qualcosa in più che sorprende. Davvero un bel passo avanti per una band in grado di arricchire ulteriormente il panorama nostrano. Sonia Scialanca - Babylon Magazine - dicembre 2008 |
Elena Raugei - Il Mucchio.it - intervista dicembre 2008
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Michele Manzotti - "L'isola che non c'era" - novembre 2008
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Luca Barachetti - Intervista su "L'isola che non c'era" - novembre 2008
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Francesca Odette Croxignatti - Intervista su "Musicalnews" - novembre 2008
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Vi sono dei dischi che, come le collezioni di figurine custodite gelosamente in qualche cassetto a casa della mamma, amiamo trarre con cura eppoi sfogliare, sfiorare coi polpastrelli, andando alla ricerca di schegge emozionali che ci facciano provare una volta più le emozioni dellinfanzia, raccolte via via dalla nostra memoria e catalogate con cura nei suoi recessi. Il pop obliquo degli Underfloor suscita tali sensazioni, e nobilita la scena alternativa italiana, andando a suggere umori già fatti propri negli ultimi anni da Marlene Kunz e da Afterhours (ascoltate la lunga, conclusiva Dallesterno e lasciatevi travolgere dalla marea montante della melodia distorta e foggiata a piacere dal gruppo), declinandoli però personalmente, con una attitudine ancora vergine e sopra tutto decorrelata da generi e da tendenze. Lapproccio cantautorale al testo delinea con maggiore chiarezza la vena chiaroscurale di Vertigine, ove gli archi disegnano traiettorie colte tra le quali si insinuano gli strumenti classici della tradizione del rock. Brani quali Bianco e Novembre accrescono il valore della raffinata ricerca lirica operata dai loro autori, i quali aggiungono alla tavolozza i colori tenui della stagione del sole declinante, dei tramonti immaginifici e dei paesaggi silenti. Cieli grigi solcati da compassate ali nere, come la musica degli Underfloor, sicuramente una delle realtà più interessanti scaturite dallaltrimenti avaro panorama musicale italiano. Adriano Moschioni - Ver Sacrum - novembre 2008 |
Alessia Mazzenga - Left n. 45 - 7 novembre 2008 |
Gli Underfloor pubblicano il loro secondo album a distanza di quasi tre anni dal loro esordio. Lalchimia sonora del trio (basso, chitarra e batteria) è rimasta immutata e si è fatta più sicura e pronta a confrontarsi con altri suoni, per lo più acustici (12 corde, pianoforte, flauto, una sezione archi). Un disco dominato dalle dinamiche, perfettamente enfatizzate da una registrazione orgogliosamente analogica, che restituisce tutto il fascino che questa band è capace di creare dal vivo. Tutti gli strumenti, voce e parole comprese compongono ununica massa sonora, che si muove, si contorce, parla e sospira, urla e tace, lasciando allascoltatore il suo spazio, per entrare nelle canzoni, di soppesare le poche intense parole che compongono i testi. In unera sempre più devota alla ridondanza, al di più, la sconvolgente essenzialità di Novembre, o la leggerezza dellelaborato arrangiamento di Ancora un inverno, sembrano una boccata di ossigeno. La drammaticità del ritornello di Bianco la frase Tienimi ancora la mano ripetuta più volte non solo esalta la concretezza e la fisicità della sezione ritmica ma anche quella carnalità, fatta di sangue e sudore, che tanto accomuna il suonare insieme, tutti in una stanza, vicini. Quella frase, quel desiderio di contatto, di condivisione, è lessenza della musica degli Underfloor, che esce prepotentemente in Non più parole, un invito accorato a osare, a non aspettare. Matteo Urro, Guido Melis e Lorenzo Desiati con Vertigine possono essere orgogliosi di aver scritto musica che lascia una traccia, che ha il potere di entrare nel profondo parlando un linguaggio dimenticato ma non ancora del tutto scomparso. Jacopo Meille - Musicalnews- ottobre 2008 |
Autori
di un ottimo disco d'esordio nel 2004, gli Underfloor tornano con un lp
ancora più convincente e rifinito, che li colloca senza alcun dubbio
tra le formazioni di punta del nuovo rock italiano. La produzione di Ernesto
De Pascale ha conferito un elemento di carisma in più, ma da parte
sua il trio fiorentino ha conquistato maturità e compattezza. I
richiami a Radiohead, Sigur Ros e Pink Floyd del passato si stemperano
in una tela sonora malinconica, sfuggente, delicata.
Pezzi come "Novembre" e "La mia necessità" mostrano un gruppo credibile nell'interpretare il sound post-rock/alternative (dai CSI agli Afterhours), come fatto dai giovanissimi Metem, ma anche con quell'indole psichedelica tipica dei disciolti (purtroppo...) Mary Newsletter, o degli ultimi Finisterre. E' evidente in "Non ho più parole", luminosa e trascinante, con una buona cura dei suoni, elemento costante nell'intero cd. Gli arrangiamenti per archi o l'inserimento di tastiere su un basilare trio rock funzionano bene, così l'amalgama tra un sound elettrico e vibrante e la viola di Giulia Nuti: lo provano "Ancora un inverno" e "Bianco", vetta d'intensità. Finale da brivido con la memorabile "Dall'esterno": la presenza al piano rhodes dello special guest Francesco Magnelli porta inevitabilmente ad un suono, ad un approccio, ad una dimensione, ma il pezzo è valido e convincente di suo, nelle sue tessiture lisergiche e sognanti. Un lp rarefatto e criptico, di melodie sofferte e tinte malinconiche, di fughe e sospensioni, che scende come dolce nebbia. Donato Zoppo - Movimenti Prog - ottobre 2008 |
Avevano esordito quattro anni fa, con un album autoprodotto questi fiorentini Underfloor, e oggi li troviamo alle prese con un nuovo lavoro, supportati da unetichetta: come a dire che almeno un obiettivo minimo è stato centrato. Un risultato raggiunto con merito, infatti non sono mancati i responsi positivi sia per il debutto, che per le apparizioni dal vivo, dove la band esprime al meglio le proprie potenzialità, con un rock avvolgente e dal taglio lucidamente melodico, ma che non poggia su concetti espressivi usurati, preferendo un approccio leggero, che porta il suono a gravitare in altezza e non di stomaco. La scelta del cantato in italiano, va vista come unurgenza di chiarezza, piuttosto che come un limite e la voce di Matteo Urro (anche essenziale e incisivo chitarrista), pare acquistare forza da questa opzione, dipanandosi sicura tra i meandri delle liriche, affrontate sempre con sicurezza e direi saggezza, vista landatura melodica serena. Ma le canzoni degli Underfloor sono un gioco di squadra, niente sarebbe uguale, senza i tratteggi cromatici della sezione ritmica del bassista Guido Melis e del batterista Lorenzo Desiati. Tra i solchi di La mia necessità, Ancora un inverno, Bianco e Non ho più parole si incuneano spesso ospiti, con deliziano con flauti, archi, pianoforte, che conferiscono profondità e saggezza al suono, una sorta di rock post (e non post-rock), che incalza sul fronte dellenergia e della scrittura e a cui non mancano elementi vagamente lisergici, che dimostrano come sia ancora possibile staccarsi dalla banalità del rock, pur scrivendo semplici canzoni. È gratificante non trovare un termine di paragone chiaro per gli Underfloor, un trio allargato che vale la pena scoprire, perché capace di celare gradite sorprese. Gianni Della Cioppa - Il Mucchio.it - ottobre 2008 |
Davide Agazzi - Il Corriere di Firenze - 27 ottobre 2008 |
Secondo album (dopo un omonimo autoprodotto), Vertigine vede i fiorentini Underfloor maturare decisamente sotto il profilo compositivo, presentandoci sette brani di indie-rock malinconico e immaginifico che tracciano un sentiero intrigante, lungo cui il trio formato da Matteo Urro (voce e chitarra), Guido Melis (basso e voce) e Lorenzo Desiati (batteria) potrebbe incamminarsi alla ricerca di nuove, più interessanti soluzioni. Si diceva, dunque, di un indie-rock malinconico e, naturalmente, le liriche hanno un ruolo non secondario (La mia necessità), anche se sono soprattutto gli arrangiamenti a mostrare la volontà di non sottomettersi allimperante massificazione che ci circonda. Ecco, dunque, un clavicembalo (Giulia Nuti) comparire in Ancora un inverno, momento che possiede un fortissimo senso di abbandono, con il cuore in pieno subbuglio, in preda alle allucinazioni dei ricordi. E una musica delicata, quasi intimidita, ma che è capace di tratteggiare, intorno allamore, simboli riconoscibilissimi per non perderlo mai di vista (Bianco, dove fa capolino anche il suono di una viola, ancora per gentile concessione della Nuti), oppure sa riconoscere il veleno dentro di noi, quando anche le stagioni ci costringono a meditare nel nostro piccolo cerchio (Novembre), perché, intanto, non sappiamo aspettare che i nostri sogni savverino (Non più parole). E si procede,
così, verso la fine, tra i toni elegiaci di Insensibile,
cui il flauto di Gabriele Mori dona un certo gusto pastorale, prima
di incontrare le lunghe (oltre dieci minuti) scorciatoie di Dallesterno.
Aperto dai tocchi liquidi del Rhodes (Francesco Magnelli), Dallesterno
il momento nettamente più alto del disco -
è un corpo aeriforme che richiama immediatamente alla memoria
i Tiromancino più evocativi, stendendosi, lentamente, verso un
climax noise-psichedelico davvero trascinante. Francesco Nunziata - Ondarock - ottobre 2008 |
rassegna stampa cd "Underfloor" (2004)
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